Calli,
ponti, palazzi, chiese, memorie… Nulla da invidiare alle glorie artistiche
e storiche di Venezia: il Leone di San Marco ruggisce anche qui.
Chioggia
"Altro che
piccola Venezia! A ben guardare, è perfino meglio dell'originale…!".
Il peccatuccio di campanilismo si può facilmente perdonare ai
suoi abitanti, perché Chioggia vanta davvero un fascino
innegabile: con i suoi canali, i ponti, le calli, le chiese
imponenti e gli eleganti palazzi settecenteschi che si specchiano
nell'acqua, offre scorci che non hanno niente da invidiare
all'aristocratica regina della laguna. Ma a queste attrattive la
piccola città, immortalata dalle Baruffe goldoniane, unisce una
suggestione tutta sua: l'atmosfera di calda cordialità, i colori
dei bragozzi, le tipiche imbarcazioni dei pescatori ormeggiate in
pittoresco disordine lungo il canale Vena con le vele variopinte,
l'allegra vivacità della gente: cascasse il mondo, i chioggiotti
non rinunciano mai, sul far della sera e nelle mattine di festa,
alla lenta passeggiata su e giù per il corso del Popolo, che non
per niente è detto comunemente la Piazza. Per innamorarsi di
Chioggia basterebbe una visita al mercato del pesce, che tutte le
mattine anima di odori, voci e colori lo spazio affacciato sul
canale Vena a ridosso dell'antico Granaio. Lungo i banchi di
granito i curiosi si confondono con le massaie e con impeccabili
camerieri che, dai ristoranti vicini, vengono a contrattare
branzini e tranci di tonno per il menù di mezzogiorno.
L'abbondanza e la freschezza del pesce testimoniano l'instancabile
attività dei pescatori che sfidano il mare aperto da tempo
immemorabile. Nel secolo scorso Chioggia contava 500 bragozzi in
attività e ancora oggi la sua flottiglia di pescherecci è una
delle più importanti d'Italia. Abbracciata dalla laguna,
attraversata da tre canali paralleli, Lombardo, Vena, San
Domenico, Chioggia è intersecata da una settantina di calli tutte
perpendicolari al corso, che le conferiscono una singolare
struttura a spina di pesce. Dal vicino borgo di Sottomarina la
dividono settecento metri di laguna, ma anche e soprattutto
profonde differenze di tradizioni, mentalità, perfino di tratti
somatici e dialetto: pescatori i chioggiotti, abituati a sfidare
ogni giorno i pericoli del mare e ingiurabilmente portati a vivere
al di sopra delle proprie possibilità, incuranti del domani.
Ortolani, legati alla terra, tenaci e risparmiatori i
"marinanti", che da pochi decenni hanno affiancato alla
coltivazione degli ortaggi la risorsa del turismo, sfruttando la
lunga spiaggia di sabbia fine. Una separazione tanto netta che,
non a caso, il ponte tra le due rive è stato costruito solo negli
anni Venti: per tutto l'Ottocento l'unico collegamento era un
servizio di barche a remi, sostituito all'inizio del secolo da due
piroscafi a vapore. Le origini della città affondano nel mito,
che ne attribuisce la fondazione all'eroe troiano Clodio, compagno
di Enea, ma il primo insediamento è probabilmente etrusco. Porto
conosciuto già in epoca romana, entrò ben presto a far parte
della Serenissima Repubblica, e scontò l'annosa rivalità tra
veneziani e genovesi sul proprio suolo, che diventò teatro
dell'aspro conflitto conosciuto appunto come guerra di Chioggia.
Nel 1379 la città fu attaccata e, malgrado la strenua resistenza
degli abitanti, espugnata; Sottomarina venne rasa al suolo.
Assediati a loro volt nell'isola occupata, i genovesi si arresero
l'anno dopo e la città tornò libera, ma sicuramente provata dal
conflitto che da allora sui documenti ufficiali gli avvenimenti si
datarono ante e post bellum.
La storia locale è costellata
di episodi gloriosi, come l'insurrezione contro gli Austriaci del 20 aprile
1800, durante la processione del Cristo di San Domenico. Non c'è da stupirsi
quindi che i chioggiotti siano così orgogliosi del Leone di San Marco che
domina piazza Vigo dall'alto della colonna marmorea, ornata dal capitello
bizantino; né che siano così insofferenti alla malignità di chi, data la
sproporzione con il sostegno, nella statua vede piuttosto un gatto. Narrano
i chioggiotti come più di una volta i buontemponi venuti a deporre per scherno
una lisca di pesce al piedi del "gato" si siano trovati a mal partito; non
molti anni fa, riferisce non senza fierezza un ristoratore, l'automobile
di una comitiva di burloni di Rovigo è finita in mare. E poi il leone di
Chioggia, sottolineano, è ritratto in una posa inusuale: con la spada sguainata
in mezzo al libro. Piazzetta Vigo è l'approdo e l'incantevole benvenuto
per chi arriva via mare: da qui si dipartono le due strade, una di terra
e l'altra d'acqua, che tagliano a mezzo la città, corso del Popolo e il
canale Vena, sormontano dal seicentesco ponte Vigo, abbellito nel 1762 con
marmi d'Istria. Poco più in là, su un'isoletta collegata da un altro ponte,
sorge la chiesa di San Domenico, rifatta nel 1745 su un nucleo duecentesco,
che custodisce il Cristo dei pescatori, caro alla devozione popolare: un
crocefisso di legno alto quasi cinque metri che, secondo la tradizione,
fu ritrovato in mare. Alla religiosità popolare sono collegate anche le
"tolèle", ex voto dipinti su tavolette di legno per ringraziare il santo
di uno scampato pericolo: in uno stile ingenuo sono descritti soprattutto
episodi legati alla vita di mare, naufragi e bufere, oltre a insperate guarigioni.
La chiesa conserva anche un bellissimo San Paolo, ultima opera del Carpaccio,
e un Gesù del Tintoretto. Gli edifici civili sono raccolti intorno alla
piazzetta XX settembre, che incrocia il corso a metà. Il centro città è
segnato dal pennone portabandiera, dal 1713 sostenuto da tre cariatidi di
pietra, che secondo la tradizione si chiamano Andrea, Filipeto e Giacometo
e parlano tra loro. Il municipio neoclassico è stato costruito dagli Austriaci
per sostituire quello originario, distrutto da un incendio. All'interno
una tavola di Jacobello del Fiore, che rappresenta i Santi Felice e Fortunato,
patroni della città, e disegni di Rosalba Carriera, pittrice di origine
chioggiotte. Dell'antico palazzo Pretorio restano solo le statue della balaustra,
che oggi cingono il "Sagraeto" a fianco della cattedrale, lungo il canale
Perottolo. Questo angolo suggestivo è noto come Refugium
peccatorum, per
via della statua della Vergine davanti alla quale i condannati potevano
sostare per un'ultima preghiera. Di fronte al municipio la medievale loggia
dei Bandi, ricostruita nell'Ottocento, dalla quale gli araldi davano lettura
di ordinanze e leggi ai cittadini, in gran parte analfabeti. Oggi è sede
della polizia municipale e a giugno ospita il palio della Marciliana, rievocazione
in costume della guerra di Chioggia. Risale al 1322 il Granaio, costruito
per conservare le scorte di cereali in caso di carestie e guerre: in origine
poggiava su 64 colonne (murate all'inizio del secolo), che lasciavano intravedere
le acque del canale Vena. Sulla facciata spicca in un'edicola una Madonna
con Bambino in cartapesta, opera del Sansovino. Un'altra statua della vergine,
dentro una bellissima edicola gotica, orna la facciata del vecchio Monte
di Pietà. La maestosa cattedrale è stata ricostruita a metà del Seicento
da Baldassarre Longhena, l'architetto di Santa Maria della Salute di Venezia;
la chiesa precedente, consacrata nel 1110 con il trasferimento del vescovado
da Malamocco, era andata distrutta da un incendio la notte di Natale del
1623. notevoli sono l'altare maggiore intarsiato, il pulpito ornato da bassorilievi
e il battistero, oltre naturalmente a numerose tele di autori come Palma
il Giovane e Cima da Conegliano; accanto alla chiesa spicca isolato il campanile
trecentesco alto 64 metri.
Il tempietto gotico di
San Martino, del 1392, custodisce due preziosi polittici, uno dei quali
attribuito a Paolo Veneziano, attualmente in restauro alla sovrintendenza
ai Beni artistici di Venezia. La basilica di San Giacomo, totalmente ricostruita
nel Settecento con un intervento durato ben 46 anni, ospita l'icona veneratissima
della Madonna della Navicella, che ricorda l'apparizione a un povero ortolano,
nel 1508, della Vergine con il corpo di Cristo piagato dai peccati dei
chioggiotti.
Nel grandioso interno del tempio a una sola navata quadrata spicca l'affresco
del soffitto di ben 223 metri quadrati. Più raccolta l'attigua chiesetta
della Trinità, realizzata nel 1705 da Andrea Tirali, l'autore della pavimentazione
di piazza San Marco a Venezia. Dal presbiterio, chiuso soltanto da quattro
colonne, si intravede l'Oratorio, che fu sede della Fraglia dei Battuti,
confraternita detta anche dei Rossi, dal colore del saio. Il soffitto è
riccamente decorato con scene del Vecchio e Nuovo Testamento, incastonate
in cornici dorate e ispirate al tema della Redenzione. Singolare il contrasto,
nel cortile, tra due campanili affiancati, quello romanico della Trinità
e quello seicentesco di San Giacomo, alto e sormontato da un angelo ad ali
spiegate. La chiesa di Sant'Andrea è stata rifatta nel 1734, con l'aggiunta
di una facciata barocca. L'origine romanica è testimoniata dal campanile
a pianta quadrata, forse risalente al 1110, utilizzato anche come torre
di avvistamento militare.
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